Campo di concentramento di Monigo (TV)

Campo di concentramento di Monigo (TV)

Monigo — negli anni Quaranta una frazione periferica di Treviso — è oggi un quartiere conurbato col resto della città capoluogo. Alla fine del giugno del 1942, nella caserma «Cadorin», una struttura militare di recente costruzione, vi venne allestito un campo di concentramento per internati civili «ex jugoslavi».

Vennero allora riservati al campo sette grandi padiglioni della caserma: quattro per gli alloggiamenti dei reclusi, e i rimanenti tre per i magazzini, l’inferme ria e le cucine. Ogni camerata — fornita di letti a castello — disponeva di una cinquantina di posti, dove gli internati alloggiavano separatamente: da una parte gli uomini, dall’altra le donne e i bambini. Dall’autunno del ‘42 la zona maschile e quella femminile vennero divise col filo spinato. Il comando della struttura venne affidato al tenente colonnello dei carabinieri Alfredo Anceschi, coadiuvato dal capitano Eliseo Signorini.

I primi internati giunsero a Monigo il 2 luglio 1942. Si trattava di 315 civili sloveni arrestati nel recente grande rastrellamento della città di Lubiana e di altri 255 rastrellati nella zona di Longatico (Logatek). Il secondo trasporto significativo, giunto il 6 agosto, comprendeva invece 432 civili rastrellati nelle zone di Kočevje e Novo Mesto. In autunno, arrivarono circa 8oo internati da Gonars che poi, per la gran parte, sarebbero stati trasferiti nel «campo di lavoro» di Tavernelle, in provincia di Perugia. Fu quindi la volta di circa 300, tra donne e bambini provenienti da Arbe.

Il campo ospitò inizialmente differenti categorie di civili jugoslavi. Esso fungeva, infatti, da centro di raccolta e selezione, dove — con l’aiuto di jugoslavi collaborazionisti — il comando riusciva a individuare gli internati «politicamente pericolosi» che venivano condotti a Lubiana per essere processati o trasformati in ostaggi. In un secondo tempo, a Monigo crebbe la presenza degli internati «protettivi». Contestualmente a ciò, migliorarono le condizioni di vita, per cui le autorità — all’epoca — lo consideravano il più «presentabile» tra i campi per civili jugoslavi.

E questa la spiegazione per cui, il 21 ottobre ‘42 (quando a Monigo c’erano 3464 internati), vi fu consentito l’accesso al delegato in Italia del Comitato internazionale della Croce Rossa, Hans Wolfgang de Salis, al quale la struttura trevigiana poté apparire come un «campo di concentramento modello».

In realtà, considerando l’intero periodo di attività del campo, le condizioni dell’internamento a Monigo furono tutt’altro che presentabili. L’alimentazione era insufficiente; gli appelli potevano aver luogo anche più volte al giorno, e in orari diversi; un «palo» per le punizioni presenziava il grande cortile centrale del campo.

La vita degli internati divenne più dura con l’arrivo dell’inverno, per via del freddo, del sovraffollamento e della mancanza del vestiario appropriato (buona parte dei reclusi portavano ancora gli indumenti che indossavano, in estate, al momento dell’arresto). Successivamente all’ arrivo dei convogli provenienti da Arbe, quasi la metà dei 6oo posti letto dell’ospedale civile trevigiano vennero occupati da internati ridotti in gravi condizioni. Durante i tredici mesi circa di funzionamento del campo, a Monigo nacquero 42 bambini, mentre a perdervi la vita furono 232 internati (54 bambini e 178 adulti), 187 dei quali vennero sepolti in fosse comuni nel cimitero maggiore di Treviso: in una i bambini, nell’altra gli adulti. La gran parte dei decessi colpì individui il cui fisico era stato irrimediabilmente compromesso dalla polmonite, dalla tubercolosi o da altre gravi malattie debilitanti contratte sull’isola di Arbe.

Anche a Monigo operò clandestinamente una cellula dell’Oslobodilna Fronta che, oltre che dell’attività di proselitismo politico-militare, si occupò dell’assistenza ai più bisognosi e dell’individuazione dei delatori. Il campo infatti era particolarmente frequentato dai rappresentanti del collaborazionismo sloveno che puntavano a reclutare nelle proprie milizie gli internati «indecisi» e gli anticomunisti dichiarati.

La composizione dei reclusi in questo campo, cambiò notevolmente tra febbraio e marzo del 1943. Si ebbe allora il trasferimento o il proscioglimento di buona parte degli internati sloveni (per lo più «repressivi»), mentre al loro posto giunsero, da Gonars, soprattutto internati croati. Secondo «Novice izza zice» («Notizie da oltre il reticolo»), una sorta di notiziario interno compilato dagli internati, alla data del 18 marzo 1943, erano presenti nel campo 3122 reclusi: 1050 uomini, 1085 donne, 513 bambini e 466 bambine. Con l’arrivo della primavera e il miglioramento delle condizioni climatiche migliorarono anche le condizioni generali della vita del campo che, nel mese di aprile, diveniva ufficialmente il luogo deputato dal Supersloda ad accogliere gli «internati protettivi» jugoslavi: il 19 aprile, su un totale di 2500 internati presenti nel campo, erano considerati «protettivi » 2465. Molti di loro poterono prestare la propria opera nell’infermeria e negli uffici, oppure all’esterno del campo, in aziende della zona.

Nella prima metà del 1943, parallelamente al trasferimento in altri campi (più di 1500 reclusi andarono in quello di Gonars), venne avviata la liberazione di grossi contingenti di internati, favorita dalla continua pressione delle autorità ecclesiastiche.

All’indomani dell’8 settembre 1943 — mentre il colonnello era ricoverato in ospedale — la guida del campo di Monigo venne assunta da alcuni elementi del Fronte di Liberazione. I quali, assieme agli altri internati, si diressero a piccoli gruppi verso il Collio goriziano, dove molti confluirono nelle formazioni partigiane che operavano nella zona.

Presenze nel campo

1942

data              2 luglio     15 agosto     21 ottobre     29 dicembre

internati          570            1528               3464                3172

1943

data             1° febbraio     15 marzo     19 aprile     30 giugno     1° settembre

internati            3274              3122             2500            2213                1623

 

La caserma Cadorin oggi, vista dall’alto (http://maps.google.it)

 

Riferimenti per il campo di Monigo

  • Capogreco, Carlo Spartaco, I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943), Einaudi, Torino 2004.
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