Auschwitz: quali insegnamenti …

AUSCHWITZ: QUALI INSEGNAMENTI PER QUALI APPRENDIMENTI?

Ernesto Perillo [1]

Che sia necessario insegnare e apprendere la Shoah non è poi così scontato. Rileggo il manuale [2] su cui ho studiato al liceo durante gli anni Sessanta. Nel capitolo XXV “La seconda guerra mondiale e la Resistenza”, ritrovo con fatica le parole con le quali l’autore racconta lo sterminio degli ebrei europei. Eccole. “La Germania domina ormai su più di metà del continente europeo, applicandovi il più spietato e sistematico terrorismo: gli Ebrei, ma non soltanto essi, sono deportati in massa, torturati, seviziati, infine uccisi con raffinato sadismo nei campi della morte di Buchenwald, di Dachau, di Mauthausen” [3].

Poche righe che si perdono dentro la narrazione militare e politica del conflitto mondiale, incapaci di consentire realmente la comprensione di cosa sia accaduto, né dal punto di vista fattuale (tra l’altro, nessuno di quelli citati è stato un campo di sterminio), né tantomeno rispetto al significato di quegli eventi.

Della politica nazista nei riguardi degli Ebrei dalla presa del potere di Hitler, lo studente del manuale del Saitta viene a sapere questo: ” Il nazionalsocialismo non era altro che il fascismo tedesco, anzi un fascismo più conseguente e più duro di quello italiano, profondamente antisemita e spiritualmente pagano: giunto al potere con mezzi legali , esso impresse all’ hitlerizzazione della Germania un corso più rapido di quel che avesse subito l’Italia per diventare fascista.” [4]

In che cosa consista l’antisemitismo del regime nazista, quali ne siano stati i tempi, i luoghi, i provvedimenti, le conseguenze sugli ebrei e sulla popolazione tedesca, quali le motivazioni e le ragioni, fino a che punto fosse radicato nella cultura e nella società della Germania, che rapporto ci fosse con il secolare antigiudaismo cristiano, perché si fosse arrivati allo “spietato e sistematico terrorismo ” degli anni della guerra non è dato di conoscere.

Nel corso del tempo, soprattutto a partire dagli anni Settanta, il tema della Shoah si è via via affermato come centrale: dall’iniziale collocazione tra i crimini nazisti, uno fra i tanti orrori della guerra, al riconoscimento della sua singolarità, alla consapevolezza che lo sterminio degli ebrei ha rappresentato una “rottura di civiltà che segna uno spartiacque e apre una crepa profonda nella storia del XX secolo”. Ciò soprattutto grazie alla presenza della memoria e dei testimoni dei crimini nazisti, fonti insostituibili per il lavoro degli storici e radicale interrogazione sul mondo moderno per la nostra società.

Una situazione che si è quindi modificata, ma che presenta altri rischi: “Quello che fino a ieri poteva essere considerato quasi un “non-avvenimento” ha lasciato il posto ad una memoria ossessiva presente nell’opinione pubblica, memoria che viene trasmessa tramite un flusso pressoché ininterrotto di racconti, di testimonianze, di studi critici, di narrazioni letterarie, di film, di spettacoli teatrali e di commemorazioni ufficiali. Durante l’ultimo decennio l’elaborazione del lutto si è progressivamente trasformata in una sorta di religione civile, con i suoi dogmi (il “dovere della memoria”) le sue icone (i sopravvissuti, trasformati in “santi laici”) e i suoi riti (le commemorazioni e i musei).” [5]

Quali le implicazioni sul piano didattico?

Una via di uscita può essere rappresentata dal dialogo tra ricerca storica e ricerca didattica.

Indico alcuni suggerimenti e criteri per l’insegnamento-apprendimento della Shoah.

 

1. La rilevanza del tema

“Auschwitz ha introdotto la parola genocidio nel nostro vocabolario; la sua singolarità risiede forse, soprattutto, nel fatto che solo dopo le camere a gas abbiamo capito che un genocidio è una lacerazione profonda di questa trama di «solidarietà» elementari, soggiacente alla vita collettiva, che permette agli esseri umani, nonostante i loro conflitti, le loro ostilità e le loro guerre, di percepirsi reciprocamente come tali. (…)

La «Soluzione finale» ha segnato una cesura storica che, invece di accelerare un processo «che si sarebbe fatto da sé, a poco a poco, in tempi più lunghi», ha demolito i risultati apparentemente durevoli dell’emancipazione, preparata all’epoca dei Lumi e realizzata nella maggioranza dei paesi europei durante il XIX secolo.“ (E. Traverso) [6]

“Per la memoria collettiva occidentale la shoah è così diventata, negli ultimi vent’anni, un avvenimento centrale che non cessa di mettere in discussione le basi della nostra modernità politica (G. Bensoussan)”. [7]

“E’ dunque sul Lager come evento rivelatore, come matrice fondamentale per la comprensione del tempo storico, come “fatto sociale totale“ – che rinvia all’insieme di un sistema e che ne disvela le strutture profonde- che qui si vuole richiamare l’attenzione. Se lo si osserva da tale punto di vista, e dunque a anche prescindendo dallo studio dei “fatti“ che lo compongono, Auschwitz è il Novecento, in quanto paradigma di una rottura tra progresso e umanità che per la prima volta si produce in maniera consapevole “ (M. Salvati) [8].

“Quello che sembra, piuttosto, fare della violenza un tratto identificante dell’epoca che abbiamo alle spalle – l’elemento, cioè, capace di distinguere il nostro secolo da ogni altro – è la sua dimensione qualitativa; il carattere scisso e abnorme che essa vi ha assunto, visibile in prima approssimazione nella sua dinamica insieme estremamente razionalizzata e intrinsecamente irragionevole. Tecnicizzata eppure selvaggia. Nell’apparenza, potremmo dire, di « ossimoro » che la pratica della violenza massificata rivela, intreccio inestricabile di sofisticatezza tecnica e di delirio politico. Di raffinata razionalità degli strumenti di sterminio e di barbarica rozzezza delle motivazioni in base alle quali la distruzione di vite umane è stata pianificata e decisa, quale si è manifestata, in forma emblematica, nello sterminio razziale teorizzato e praticato, nel cuore d’Europa, del nazismo e dal fascismo. Il Novecento resta, indelebilmente, il secolo segnato da quell’abominio. Resta fl secolo in cui compaiono, per la prima volta nella storia, termini come «crimine contro l’umanità»” e genocidio (…) “ [9] (M. Revelli)

 

2. Perché studiare la Shoah

“Alcuni pensano che conoscere quanto è accaduto ad Auschwitz possa impedire il riprodursi di fatti analoghi. Un po’ come chi pensava che la guerra del ’14-’18 sarebbe stata l’ultima, anzi l’ultimissima, che non si sarebbe più ripetuto nulla di simile: bastava mostrare quanta sofferenza aveva causato, scioccare i giovani per vaccinarli contro l’idea di commettere quel genere di orrori. Personalmente resto scettica di fronte a simili proclami, dubito che i racconti storici che fanno leva solo sull’emozione siano destinati ad avere un effetto duraturo. Benché Auschwitz resti in larga parte inspiegabile, continuo a credere comunque nella ragione e nelle risorse dell’intelligenza.

Lo studio del genocidio degli ebrei, per le sue enormi dimensioni, rappresenta appunto un’inesauribile fonte di riflessione che tocca tutti gli aspetti dell’esistenza e della storia degli uomini. Per questo il genocidio viene menzionato continuamente, ad esempio nella vita internazionale. Dopo la seconda guerra mondiale, si è riflettuto molto su come impedire crimini simili a quelli commessi contro gli ebrei e questo ha fatto progredire il diritto. Oggi si sta cercando di creare una Corte di giustizia internazionale permanente per giudicare quelli che compiono crimini contro l’umanità. Fino a dopo la seconda guerra mondiale, tutti gli stati concordavano nell’affermare che ognuno poteva agire come meglio credeva nel proprio paese: aprire campi di concentramento, massacrare una minoranza nazionale, espellerla dalle proprie frontiere, erano questioni di pertinenza delle singole nazioni. Adesso sempre più voci rivendicano, invece, il diritto all’ingerenza negli affari interni di uno stato. Il ricordo dell’inerzia e dell’indifferenza delle grandi potenze di fronte alla sorte toccata agli ebrei influenza in modo determinante la riflessione in questo campo.

Lo studio del genocidio fa, inoltre, riflettere sul funzionamento dello stato moderno. La deportazione degli ebrei e la loro eliminazione nelle camere a gas non sarebbero state possibili senza la complicità di molti. C’è stato bisogno di impiegati per preparare tutti quegli schedari, delle forze dell’ordine per arrestare gli ebrei, di funzionari per organizzare i lager, di salariati per sorvegliarli, e di tante altre persone per condurre gli autobus fino alle stazioni, guidare i treni fino ai centri di sterminio, programmare gli orari… Nessuno di questi individui sapeva con chiarezza che il suo lavoro era inserito in una catena che alla fine avrebbe permesso di uccidere milioni e milioni di uomini. nessuno di loro in apparenza ha fatto nulla di male, si è limitato semplicemente a svolgere il suo lavoro in modo coscienzioso.“ [10]

Sul rapporto tra genocidio e modernità insistono anche altri studiosi: “Senza la civiltà moderna e i suoi principali, fondamentali esisti, non vi sarebbe stato alcun Olocausto”. (E. Traverso)

”Sappiamo di vivere in una società che rese possibile l’Olocausto e che non conteneva alcun elemento in grado di impedire il suo verificarsi” (Z. Bauman)

“(…) l’insegnamento della shoah deve ruotare attorno ad un unico interrogativo: il mondo totalitario e la shoah sono stati uno “sbandamento“ del nostro secolo o l’emblema stesso del nostro tempo? Una parentesi o una sorta di modello? Si può insegnare questa storia senza mettere in discussione le strutture politiche della nostra modernità? Senza comprendere che la democrazia di cui ci vantiamo integra e nello stesso tempo emargina? (G. Bensoussan).

 

3. Criteri per la progettazione didattica

La tematizzazione

“L’unicità del nazismo, la sua peculiarità come regime – che lo distingue anche da altre forme di dittatura brutale – fu l’attuazione di un genocidio sistematico. Non è semplicemente una questione di scelta arbitraria da parte dello storico del suo centro d’interesse. Qui è in gioco l’essenza del fenomeno nazista. Auschwitz non deve essere necessariamente al centro di ogni prospettiva sulla storia tedesca. Ma non può esistere alcuna maniera soddisfacente, o appropriata, di sostituire Auschwitz (da intendersi come un’abbreviazione per la barbarie nazista) come centro focale dell’analisi in qualunque interpretazione generale del Terzo Reich. Il dove Auschwitz s’inserisce nella storia tedesca, il come la storia tedesca abbia «prodotto» Auschwitz, e il come la storia tedesca è stata forgiata da Auschwitz, sono questioni la cui importanza non è suscettibile di affievolirsi col tempo, e che continueranno a trascendere le frontiere della « normale » indagine storica.“ [11]

Nel genere letterario che chiamiamo storia generale manualistica, la distruzione degli ebrei in Europa nel XX secolo coincide spesso con un paragrafo di un capitolo sul nazismo e/o sulla seconda guerra mondiale.

La scelta che sta alla base di questa proposta didattica è diversa. Essa implica una tematizzazione che pone come figura la deportazione e lo sterminio degli ebrei nella prima metà del XX secolo e come sfondo il nazismo, e in particolare il suo fondamento razzista e antisemita, la guerra e il totalitarismo e più in generale “i modelli di civilizzazione del mondo occidentale moderno“.

La periodizzazione e il contesto

Per comprendere la Shoah è necessario studiarne le premesse di lunga durata in un contesto più ampio di quello della sola storia dell’antisemitismo tedesco e allargare lo sguardo dai tre anni e mezzo (estate del 1941 e fine del 1944, lo sterminino di due terzi della comunità ebraica appartenente da due millenni alla storia europea) alle radici europee del nazismo, “portando l’attenzione all’ancoraggio profondo del nazismo, della sua violenza, dei suoi genocidi, nella storia dell’Occidente, dell’Europa del capitalismo industriale, del colonialismo, dell’imperialismo, della rivoluzione scientifica e tecnica, l’Europa del darwinismo sociale e dell’eugenismo, l’Europa del lungo XIX secolo concluso nei campi di battaglia della prima guerra mondiale.“ [12] È importante riflettere sulla periodizzazione della Shoah per capire quali siano le diverse strategie conoscitive adottate dagli storici nel tentativo di comprensione dello sterminio.

Il rapporto presente passato

Nell’organizzazione del percorso modulare “il momento iniziale è rappresentato dalle conoscenze relative agli aspetti del mondo attuale che è possibile mettere in relazione (tematica e/o concettuale e/o cognitiva) con le conoscenze da insegnare. Questa scelta ha due scopi:

1) far percepire immediatamente il rapporto presente-passato e le possibilità di uso della conoscenza storica;

2) predisporre le mappe e gli schemi conoscitivi requisiti dell’apprendimento delle conoscenze storiche.“ [13]

Si tratta di costruire proposte di lavoro per esplicitare l’immagine che gli studenti hanno degli ebrei oggi, le conoscenze e le informazioni che essi posseggono sullo sterminio e le questioni connesse a quell’evento: l’intreccio tra memoria, storia, società civile, il modo con cui le diverse memorie (dei sopravvissuti, dei contemporanei, la memoria istituzionalizzata degli Stati etc.) rielaborano quel passato, per giungere fino al problema di chi ne nega la stessa esistenza e fattualità o ne contesta il significato, partendo dal presupposto del rapporto di causalità che vede nello stato di Israele l’esito politico della Shoah.

Quello che si vuole sollecitare negli studenti è un atteggiamento critico e consapevole nei riguardi del tema che si intende indagare: per questo, fin dall’inizio, si potranno indagare alcuni nodi problematici connessi alla Shoah e sarà opportuno sollecitare l’esplicitazione di domande e interrogativi che gli studenti stessi pongono e si pongono nei confronti del genocidio ebraico.

La sequenza narrativa della Shoah

La struttura narrativa “tradizionale” di ricostruzione di un evento prevede i seguenti passaggi:

  • descrizione della situazione iniziale
  • narrazione dello svolgimento dei fatti
  • descrizione della situazione finale
  • spiegazione dei motivi del verificarsi dell’evento (quando è presente).

Questo vale anche per la Shoah.

La proposta di lavoro è invece quella di rovesciare questo ordine espositivo, ritenendo più efficace ai fini della costruzione della conoscenza del tema partire dalla conclusione della vicenda: lo sterminio degli ebrei in Europa, delle altre minoranze e degli oppositori al regime nazista. È da questa conoscenza e da questa consapevolezza che procederà la narrazione per chiedersi come mai sia stato possibile un simile evento nel mezzo della nostra civiltà e del nostro tempo: il racconto storico è necessitato quindi da una domanda (perché il genocidio?) e viene svolto per cercare una possibile o le possibili riposte che gli storici hanno dato a quella domanda.

La persecuzione contro gli ebrei in Italia

La storica Annette Wieviorka sostiene che “Auschwitz fa parte della storia europea. Pensandoci bene, probabilmente è l’avvenimento più europeo di tutta la storia del Novecento” [14]. Il percorso didattico dovrebbe mettere in luce questa dimensione europea della Shoah, analizzando la condizione degli ebrei nei diversi Paesi nella prima metà del Novecento e della loro progressiva eliminazione ad opera del nazismo.

In questo quadro, indispensabile diventa l’approfondimento della persecuzione degli ebrei in Italia, che dovrà affrontare diverse questioni. Di seguito se ne indicano alcune:

  1. La politica antirazziale del fascismo in rapporto al nazionalismo e l’espansionismo coloniale.
  2. L’antisemitismo fascista e la costruzione del modello di “italiano nuovo“.
  3. L’accelerazione totalitaria che il regime avviò dopo il ’36.
  4. L’ analisi delle principali disposizioni legislative contro gli ebrei “che alla data nella quale entrò in vigore si presentava, dopo quella della Germania nazista, come la più imponente legislazione antiebraica esistente nel mondo intero.“ [15]
  5. Le corresponsabilità della neofascista Repubblica sociale italiana nella deportazione degli ebrei.

La vicenda degli ebrei in Italia potrà essere analizzata come studio di caso ed eventualmente messa a confronto con la situazione di altri Paesi europei.

Si suggeriscono, schematicamente, alcune indicazioni per il lavoro didattico su questo sottotema:

  • la costruzione di percorsi di ricerca didattica basati sulle testimonianze dei sopravvissuti, sull’uso delle fonti, sulle visite ai luoghi della memoria;
  • la riflessione sul rapporto tra memoria e storia, ruolo del testimone e dell’ indagine scientifica, sui reciproci rapporti, sulle specificità, le differenze e i limiti di questi due approcci al passato;
  • gli usi pubblici della memoria e della storia della Shoah, dalla recente legge sulla giornata della memoria e alle modalità mediatiche (film, televisione, fiction) di raccontare e rappresentare la Shoah.

La problematizzazione e i modelli di spiegazione

Storicizzare la Shoah significa sottoporre i crimini nazisti all’analisi fondata sul rispetto delle regole della ricerca storiografica, dei criteri di interpretazione e intelligibilità razionale, così come è opportuno “ricordare e sottolineare con forza che sono gli uomini a fare la storia e che la Shoah, proprio per il suo carattere paradigmatico di esperienza “estrema“ , è un evento profondamente umano.“ [16]

Storicizzare la Shoah significa quindi porsi delle domande, problematizzare il passato che si cerca di ricostruire, non limitarsi alla pur indispensabile ricostruzione dell’evento ma cercare di costruirne un possibile senso.

Per evitare che negli studenti si affermi un sentimento di impotenza, pura angoscia e smarrimento o, all’opposto, un atteggiamento di semplificazione banalizzante centrato sulla natura malvagia dell’uomo, sulla Shoah come ennesimo massacro della Storia, sull’idea del nazismo come parentesi storica, è opportuno coinvolgerli nella riflessione storiografica sul come e sul perché del genocidio.

Didatticamente la proposta è quella di analizzare le principali tesi del dibattito storiografico sullo sterminio nazista e di invitare gli studenti a confrontarsi con i modelli di spiegazione e di interpretazione proposti dagli storici.

Un buon punto di partenza può essere il capitolo “Hitler e l’Olocausto” del volume dello storico inglese Ian Kershaw sul nazismo. [17]

La comparazione

“A ben vedere la proclamazione dell’unicità di Auschwitz serve a trasformare il fatto storico in monumento, a conferirgli il valore simbolico di uno standard negativo, la cui unica possibile spiegazione oggettiva risiede nel punto di vista soggettivo delle vittime che vi erano destinate. Solo la memoria dei testimoni, cioè, può restituirci la verità del male radicale – nel doppio senso di sofferenza e malvagità – da essi soltanto sperimentato. Estratto dalla storia e collocato sul piedistallo dei simboli universali, Auschwitz diventa qualcosa di sacro ma nello stesso tempo anche di sterile, un totem e nello stesso tempo un tabu: l’uomo qualunque può separarlo da sé, relegarlo tra i “mostri” di una realtà aliena che non gli appartiene e non lo coinvolge.“ [18]

Il confronto con altri crimini e con altri genocidi è quindi necessario perché la Shoah, “come qualsiasi altro avvenimento storico, può e deve essere oggetto di paragone, senza che per questo ne venga negata la singolarità.“ [19]

E d’altra parte, la singolarità storica della Shoah non “istituisce nessuna scala di valore“ tra i genocidi, ma al contrario consente di individuare quelle caratteristiche che sono presenti anche in altre violenze di massa e gli elementi specifici e differenti.

Nel percorso didattico è opportuno, allora, avviare un approfondimento comparativo tra il genocidio ebraico e gli altri stermini: da quello degli zingari, degli omosessuali, dei malati mentali, dei testimoni di Jehovah, degli oppositori politici del regime nazista, ai campi di concentramento sovietici e alla collettivizzazione forzata nelle campagne sovietiche durante gli anni Trenta, al genocidio degli armeni nell’impero ottomano, alla Cambogia dei kmer rossi, al Ruanda ai territori della ex Jugoslavia.

Comparare la Shoah per evitare quindi di:

  • trasformare il fatto storico in monumento
  • considerare l’evento al di fuori della storia
  • relegare lo sterminio tra i “mostri” di una realtà aliena che non ci appartiene e non ci coinvolge“
  • comprenderne la singolarità storica e di individuare quelle caratteristiche che sono presenti anche in altre violenze di massa, senza istituire nessuna scala di valore tra i genocidi.

Il rapporto tra la Shoah e la modernità. Denormalizzare il presente.

“Il processo di distruzione degli Ebrei d’Europa analizzato da R. Hilberg nelle sue differenti tappe – la definizione, l’ espropriazione, la deportazione, la concentrazione e lo sterminio – fanno di Auschwitz un laboratorio privilegiato per studiare l’immenso potenziale di violenza del mondo moderno. Se all’origine di questo crimine c’è una intenzione di annientamento, esso implica d’altra parte alcune strutture fondamentali della società industriale. Auschwitz realizza la fusione dell’antisemitismo e del razzismo con la prigione, la fabbrica capitalistica e l’amministrazione burocratico-razionale. In questo senso il genocidio ebraico costituisce un paradigma della modernità piuttosto che la sua negazione.“ [20] Non si tratta quindi di considerare la Shoah oggetto di una focalizzazione esclusiva, quanto piuttosto paradigma della violenza del XX secolo e strumento per la comprensione delle sue diverse manifestazioni. “Visto da questa angolatura, Auschwitz smette i panni rassicuranti del ”mostro” e occupa un posto ingombrante, scabroso al centro della modernità. Non è come studiare le guerre puniche o la rivoluzione industriale. Storicizzare Auschwitz non significa – come alcuni temono – normalizzare il passato, bensì denormalizzare il presente. Significa cioè abbattere ogni rassicurante difesa tra noi e il “il mostro” e, insieme, aprire una crisi di fiducia sul mondo attuale, legato al passato da fili molteplici e spesso sotterranei. Significa interrogarsi sulle radici individuali e collettive del razzismo e dell’antisemitismo, del conformismo e della xenofobia, dell’ossequio passivo e amorale alle gerarchie. Al millennio futuro il ventesimo secolo lascia l’ eredità ingombrante delle esperienze totalitarie: dei morti innumerevoli e inutili che esse hanno prodotto. Di fronte a questo disastro, l’unica lezione che forse conta trasmettere risiede nella differenza tra responsabilità e obbedienza: nessun uomo è insignificante e impotente, buono solo a fare massa, ogni uomo è importante e acquista significato quando esprime la propria voce responsabile.“ [21]  Possono essere di riferimento le opere di Bauman e Traverso.

 

4. Memorie e storie

Condivido nella sostanza i piccoli consigli al ventenne che in Italia studia la shoah di Alberto Cavaglion. Ho affermato nei punti precedenti l’importanza per il docente di contaminare la sua didattica con la ricerca storiografica e di individuare con cura testi di riferimento del suo percorso tra le opere degli storici.

Accanto al loro, l’altro possibile sguardo sulla Shoah è quello dei testimoni. Necessario, insostituibile, ma diverso. Quali le differenze tra memoria e storia? Nelle seguente tabella sintetizzo ciò che sostiene Anna Rossi-Doria in proposito:

Siamo entrati, come afferma Annette Wieviorka nell’era del testimone, caratterizzata dalla “sostituzione delle testimonianze, che costituirebbero la vera storia, alla Storia. (…) La storia verrebbe così restituita ai suoi veri autori, a cui essa appartiene: gli attori e i testimoni che la raccontano in diretta, per l’oggi e per il domani”. [22] A volte si corre il rischio di pensare che le testimonianze siano di per se stesse uno strumento automaticamente efficace e sufficiente di trasmissione della conoscenza della Shoah. Sappiamo che non è così [23] e che il passato, anche quindi la Shoah, richiedono sia la memoria che la ricerca storica. [24] E se siamo a scuola, questo passato per diventare cultura storica dello studente, parte della sua capacità di comprendere e di stare al mondo, richiede anche il lavoro e la competenza della mediazione didattica dell’insegnante.

 

5. Obiettivi

Possiamo ora tentare di indicare i possibili obiettivi di un percorso didattico sulla Shoah pensato e costruito in coerenza con le indicazioni precedenti. Un elenco che non ha alcuna pretesa rigidamente prescrittiva, ma che vuole semplicemente suggerire l’ ampiezza e l’articolazione dei traguardi formativi in gioco.

– Conoscere la condizione degli ebrei in Europa oggi e all’inizio nella prima metà del Novecento.

– Conoscere le principali tappe del processo di distruzione degli ebrei europei.

– Periodizzare lo sterminio degli ebrei europei.

– Contestualizzare lo sterminio all’interno del nazismo, delle sue origini culturali, dell’ideologia e dell’antisemitismo razziale, delle sue condizioni materiali e delle sue strutture mentali.

– Contestualizzare lo sterminio all’interno nella storia dell’Occidente.

– Comparare il genocidio degli ebrei con le altre violenze di massa del XX secolo: individuarne le analogie e le differenze.

– Conoscere le principali ipotesi interpretative della storiografia in riferimento alla Shoah.

– Decostruire e confrontare i differenti modelli di spiegazione della Shoah.

– Comprendere le differenze tra la memoria e la storiografia della Shoah, valutandone criticamente potenzialità e limiti.

– Conoscere la persecuzione degli ebrei in Italia, individuando analogie e differenze tra fascismo e nazismo nei riguardi degli ebrei.

– Comprendere il rapporto tra genocidio degli ebrei e modernità occidentale.

– Utilizzare le conoscenze e le concettualizzazioni apprese per valutare altre situazioni di sterminio e di violenze di massa.

– Analizzare e criticare la rappresentazione dello sterminio nei media, distinguendo tra dati fattuali, elementi e strutture di finzione, giudizi, valutazioni, attribuzioni di significati, e mettendola a confronto con la ricostruzione storiografica.

– Analizzare e criticare l’uso pubblico della memoria dello sterminio degli ebrei, individuando i meccanismi che ne possono costituire la base: la falsificazione dei fatti storici, la fissazione su un avvenimento per giustificare o nasconderne un altro, la deformazione del passato ai fini di propaganda, una versione del passato suscettibile di creare dicotomia tra “noi” e “loro”, la distorsione delle fonti storiche, la negazione o l’omissione dei fatti storici.

 

6. Non solo moda

L’ultimo dei citati piccoli consigli al ventenne di Alberto Cavaglion dice: “Diffida delle mode. Oggi la Shoah è una moda.” Vale anche per il docente. E quando questa moda sarà tramontata, sarà ancora più importante insegnare e apprendere la Shoah.

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[1] Pubblicato in G. Luzzatto Voghera, E. Perillo (a cura di), Pensare e insegnare Auschwitz. Memorie storie apprendimenti, Milano, Franco Angeli, 2004

[2] Armando Saitta, Il cammino umano. Corso di storia ad uso dei licei, Volume terzo, Firenze, La Nuova Italia, 1967.

[3] Idem, p. 568.

[4] Idem, p. 546.

[5] E. Traverso, Auschwitz: memoria e singolarità, in A. Chiappano, F. Minazzi (a cura di) Le storie estreme del Novecento. Il problema dei genocidi e il totalitarismo. Atti del seminario ministeriale residenziale per docenti di storia, Miur, Varese-Roma, 2002, p. 103.

[6] E. Traverso, La violenza nazista. Una Genealogia, Bologna, Il mUlino, 2002, p. 11-12.

[7] G. Bensoussan, L’eredità di Auschwitz. Come ricordare?, Torino, Einaudi, 2002, p. VIII.

[8] M. Salavati, Il Nocvecento. Interpretazioni e bilanci, Roma-Bari, Ed. Laterza, 2001, p. 71.

[9] M. Revelli, Oltre il Novecento. La politica, le ideologie e le insidie del lavoro, Torino, Einaudi, 2001, pp. 11-12.

[10] A. Wieviorka, Auschwitz spiegato a mia figlia, Torino, Einaudi, 1999, p. 54-56.

[11] I. Kershaw, Che cos’è il nazismo? Problemi interpretativi e prospettive di ricerca, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, p. 294.

[12] E. Traverso, La violenza nazista. Una genealogia, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 22.

[13] I. Mattozzi, I “contenuti” nell’insegnamento della storia nella scuola dell’obbligo, in L. Cajani (a cura di), Il ‘900 e la storia, CDROM contenente percorsi modulari di storia per la scuola media prodotto dalla Direzione generale istruzione secondaria di I grado del MPI, Sarezzo, 2000.

[14] A. Wieviorka, Auschwitz spiegato a mia figlia, Torino, Einaudi, 1999, p. 54.

[15] Enzo Collotti, La politica razzista del regime fascista, in www.quipo.it/novecento/interCollotti.html

[16] E. Traverso, Fare i conti col passato. Storicizzazione del nazismo e memoria dei venti, in E. Traverso (a cura di) Insegnare Auschwitz. Questioni etiche, storiografiche, educative della deportazione e dello sterminio, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, p. 6.

[17] Ian Kershaw, Che cos’è il nazismo, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, pp. 121-156.

[18] G. Gozzini, Lager e gulag: quale comparazione?, in AA.VV. Lager, totalitarismo, modernità, Milano, Bruno Mondadori, 2002, p.183.

[19] G. Bensoussan, L’eredità di Auschwitz. Come ricordare?, Torino, Einaudi, 2002, p. 37.

[20] E. Traverso, Auschwitz: memoria e singolarità, in A. Chiappano, F. Minazzi (a cura di), Le storie estreme del Novecento. Il problema dei genocidi e del totalitarismo. Atti del seminario ministeriale residenziale per docenti di storia, Miur, Varese-Roma, 2002, p. 107.

[21] G. Gozzini, La strada per Auschwitz. Documenti e interpretazioni sullo sterminio nazista, Milano, Bruno Mondadori, 1996, p.IX.

[22] A. Wieviorka, L’era del testimone, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1999, p. 128.

[23] Sostiene Charles Maier :” Memoria e storia sono interdipendenti; nondimeno, non sono identiche. A me sembra che la storia debba essere riflessiva e inevitabilmente discordante e a più voci. Non sto sostenenedo che la storia arriva necessariamente a una conclusione più scientifica della memoria; nessuno storico serio in questo scorcio di secolo adotta un ingenuo atteggiamento positivista. Ma gli storici devono almeno presupporre differenti situazioni di vita; essi ritengono che individui e gruppi portino limitate prospettive in ogni conflitto e, inoltre, devono ricostruire le sequenze causali; raccontano storie del prima e del poi e spiegano gli eventi con i loro antecedenti.” in C. Maier, Un eccesso di memoria? Riflessioni sulla storia, la malinconia e la negazione, in ” Parolechiave” n°9, Roma, Donzelli, 1995, p.36.

[24] “Lo storico può leggere, ascoltare o guardare le testimonianze, senza mai cercarvi ciò che sa di non potervi trovare: dei chiarimenti sugli eventi precisi, sui luoghi, le date, sulle cifre, tutti elementi che nelle testimonianze sono, con assoluta regolarità falsi. Ma sapendo anche che esse racchiudono una straordinaria ricchezza: l’incontro con una voce umana che ha attraversato la storia e, indirettamente, non la verità dei fatti, ma quella più sottile eppure altrettanto indispensabile di un’epoca e di un’esperienza.” A. Wieviorka, L’era del testimone, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1999, p. 143.

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