Ebrei stranieri internati in provincia di Vicenza
Il viaggio
Gli ebrei internati in Provincia di Vicenza arrivarono in diversi momenti e sulla base di differenti decisioni del Ministero dell’Interno. Accanto alle due grandi linee di movimento degli internati – la prima dovuta agli spostamenti da Ferramonti di Tarsia, la seconda all’ingresso in Italia di 250 ebrei provenienti dalla Dalmazia alla fine di novembre del 1941 – si registrano innumerevoli spostamenti da altri campi di concentramento italiani, così come ricongiungimenti familiari, arrivi da Fiume o ancora da campi di concentramento italiani all’estero come nel caso del campo di Kavaja in Albania o da altri luoghi sotto occupazione italiana.
I procedimenti burocratici sono simili indipendentemente dalle motivazioni. Ogni provvedimento di internamento vede coinvolti il Ministero dell’Interno, la Questura, il Comune scelto come luogo di internamento, la sezione dei Carabinieri più vicina al comune e, a seconda dei casi, i campi di provenienza o le Prefetture delle Province in cui l’internato è stato precedentemente internato o l’Alto commissariato per la Provincia di Lubiana – nel caso degli ebrei giunti dalla ex Jugoslavia.
L’ente competente (un comune, un campo), spesso a seguito di richieste fatte dagli internati stessi, segnalava al Ministero dell’Interno i casi da sottoporre per l’internamento nei comuni. La decisione del Ministero veniva comunicata alle istituzioni interessate e si disponevano i documenti necessari per l’internamento: il foglio di via con l’indicazione dei nomi degli internati e dell’itinerario da seguire, la fornitura dei biglietti per il treno (nel caso di trasferimento da Ferramonti il viaggio andava da Mongrassano a Vicenza per complessivi 994 Km), gli avvisi che Questura e luogo di provenienza si scambiavano per accertare l’effettivo internamento degli ebrei trasferiti e per invitare i podestà a disporre un’assidua vigilanza, oltre a fornire l’eventuale sussidio. Al momento dell’arrivo gli ebrei dovevano firmare le disposizioni sull’internamento che accompagnarono ogni loro atto per tutto il periodo della permanenza coatta.
In molti casi l’arrivo in Italia era il frutto di lunghi, estenuanti e pericolosi viaggi compiuti dai profughi nel tentativo di fuggire da una morte sicura, affidandosi a persone sconosciute disposte ad accompagnarli alla frontiera con l’Italia in cambio di soldi. Lampante al proposito il racconto fornito dal Milorad Svecenski, internato poi a Valli del Pasubio con la moglie Zlata e la figlia Mira.
Altrettanto drammatiche le vicende della famiglia Buchwald, internata a Montecchio. Prima dell’arrivo in Italia i tre componenti della famiglia furono portati nel campo di concentramento di Gospic, sotto la pressante minaccia di essere uccisi dagli ustascia croati. La zona fu occupata militarmente dagli italiani che, nel novembre 1941, disposero l’internamento di diversi ebrei della ex Jugoslavia in località del Regno.
Il viaggio poteva presentarsi pieno di insidie anche in territorio italiano per effetto dei bombardamenti alleati. Il sig. Levi, proveniente da Lusiana e diretto verso il Campo di Ferramonti dove avrebbe dovuto essere internato a causa del suo comportamento “indisciplinato”, si trovò, il 25 luglio 1943, sotto i duri bombardamenti che colpirono la città di Foggia. Perduto il bagaglio e trovatosi solo, senza più l’accompagnamento dell’Arma, si recò a Bisceglie, prese un treno a sue spese e raggiunse Metaponto, dove si presentò ai Carabinieri che lo condussero a Ferramonti.
Dolorosa e piena di peripezie la vicenda di Mosc Cevics, internato a Camisano dal 26 novembre 1941. La situazione dell’internamento e le notizie giuntegli dalla Jugoslavia destabilizzarono l’internato che tentò di suicidarsi il 20 giugno 1942. Fu disposto il suo rimpatrio a Belgrado e il Cevics venne munito di foglio di via il 24 luglio 1942. Giunto a Belgrado, apprese che tutti i suoi familiari erano stati soppressi e così chiese di essere internato in un campo di concentramento italiano. Arrivò a Ferramonti il 25 agosto del 1942, proveniente da Fiume, e si trovò a vivere la liberazione del campo cosentino a seguito dell’armistizio. Scelse di tornare a Camisano dove però fu arrestato dai Carabinieri il 22 settembre del 1943, per poi essere internato a Montecchio.
Moltissimi i trasferimenti interni alla provincia di Vicenza, chiesti per i più svariati motivi (salute, ricongiungimenti, problemi di abitazione). Non mancano neppure i trasferimenti in uscita dalla provincia disposti nella maggior parte dei casi per il mancato rispetto della disciplina e dei regolamenti relativi all’internamento, ma anche per l’arrivo dei permessi e dei documenti utili per l’emigrazione fuori dal Regno o, cosa piuttosto rara, per la liberazione dall’internamento disposta dal Ministero dell’Interno per gli internati risultati ariani o dal Duce in persona nel caso dell’atto di clemenza verso i sudditi albanesi internati a Marostica.