Storie da Valli del Pasubio, Schio e Malo

Storie da Valli del Pasubio, Schio e Malo

Anche Valli del Pasubio si distinse per l’aiuto portato agli ebrei. Nei Quaderni della Resistenza di Schio (Schio, luglio 1980, n. 11, pp. 574-580), molto è stato già ricostruito.

È doveroso ricordare l’opera dei coniugi Zucchi-Zuliani, che non solo prestarono aiuto agli Spiegel insieme a Don Michele Carlotto, ma si occuparono anche di altri nuclei familiari internati a Valli, come i Friedmann e gli Obersohn. La famiglia Friedmann era composta da Andor, dalla moglie Margherita Stern e dalla figlia Branca, nata nel 1940; gli Obersohn comprendevano il capofamiglia Miroslav, la moglie Livia Stern, detta Lilly, sorella di Margherita e il figlio Gerardo, nato nel 1943 presso l’Ospedale di Schio.

Entrambe le famiglie trovarono rifugio momentaneo presso i coniugi Zucchi che decisero di rivolgersi all’arciprete di Schio Monsignor Tagliaferro per cercare suggerimenti. Le due famiglie vennero così alloggiate per una notte in canonica e poi mandati ai Corobolli, dove già era nascosta Olga Spiegel. Lì vennero aiutati dai vicini sig. Bertoldo e figli e dal sig. Cerbaro.

Altre persone contribuirono ad aiutare e a nascondere le due famiglie, come la sig.ra Edi Tomiello MaraschinRemo Grendene e Domenico Baron.

Nei periodi più duri, con l’arrivo dei tedeschi e i continui rastrellamenti, le famiglie Friedmann e Obersohn si sottrassero al pericolo rifugiandosi in casa del sig. Domenico Baron che ottenne di alloggiarle in seguito nella casa Donadelli al Castellon di Magrè.  Là vissero qualche tempo ma, venuto men sicuro l’abitarvi, vennero accolti in casa del sig. Remo Grendene, da dove poi si trasferirono a Milano, scrivendo da lì il 2 luglio del 1944, per poi passare in Svizzera da dove scrissero il 27 agosto. Attraverso l’Austria si misero in viaggio verso Zagabria, dove giunsero verso la metà del 1945. Al ritorno, Livia Stern non trovò più sua madre, la moglie e il figlio di suo fratello, deportati e uccisi ad Auschwitz.

Le due famiglie tentarono di ricostruire la loro vita, ma per far ciò avevano bisogno di recuperare i loro strumenti musicali, lasciati a Poleo dal sig. Perazzo, e qualche baule lasciato all’Albergo Alpi presso i coniugi Filippi. La sig.ra Livia riuscì a tornare in Italia nel 1947, riabbracciando tutti coloro che avevano contribuito alla salvezza sua e delle due famiglie.

Seguendo ancora il Quaderno della Resistenza, è giusto ricordare altre persone di Schio distintesi per l’aiuto dato agli ebrei: i sig. Fulvio VeghiniVittorio Pontarin, il rag. Vittorio Dalle Molle e il sig. Igino Rampon, impiegato all’anagrafe comunale e artefice dei documenti falsi che sono serviti agli ebrei nella fuga. È lui che scelse i cognomi per le famiglie di cui si è raccontato: Massignan per i Friedmann, Farma per gli Obersohn e Spiller per Olga Spiegel.

Di Valli va menzionato, inoltre, il sig. Rigoni.

Da ricordare l’opera dello stesso Monsignor Tagliaferro che oltre ad occuparsi delle suddette famiglie, si prese cura di 45 ebrei provenienti da Ferrara, Trieste e dalla Jugoslavia, tra i quali le sorelle Ada, Bice e Lidia Morpurgo e le famiglie Eppinger e Bruckner, alloggiandoli nella Casa della Previdenza e dalle Suore nella Parrocchia del S. Cuore. Tagliaferro procurò loro anche documenti di identità falsi con i quali raggiunsero la Svizzera.

Monsignor Tagliaferro ebbe anche un ruolo importante nella salvezza di Ernestina Steif, abitante a Schio con il nipote Ing. Foelkel. La signora Steif era, dal primo dopoguerra, interprete a Schio presso la Fonderia De Pretto – Escher Wyss, che aiutò costantemente i due durante tutto il periodo della latitanza. Infatti, con l’arrivo dei tedeschi e l’inizio degli arresti, Ernestina venne nascosta prima dalla famiglia Gasparini e poi ricoverata presso le Suore Giuseppine. Quando il mons. Tagliaferro avvertì che le Case religiose non erano più sicure, la signorina Ernestina si trasferì ad Isola Vicentina, vivendo sotto falso nome e salvandosi dalla cattura. Anche il nipote si mise in salvo prima presso l’Istituto Salesiano e poi all’Ospedale Baratto, dove venne accolto anche un altro ebreo, il sig. Graziani, già capo dell’ufficio telefoni di Schio. Quest’ultimo, nato a Vittorio Veneto (TV) il 20.10.1876, coniugato, venne scoperto e prelevato dalle forze dell’ordine e portato nel campo di Bolzano, dove morì il 16.04.1945.

Grazie a Paola Farina, è stato possibile ricostruire le vicende di Zlatko Gluck, di Mauro e della sig.ra Buchsbaum, nato a  Karlovac il 31/02/1926. Fuggì ai massacri degli ustascia croati, che catturaro i genitori e le due sorelle, grazie all’aiuto del carabiniere Ugo Piga di Lucca che lo condusse al comando dei carabinieri, i quali, nel frattempo, organizzarono una tradotta militare verso Lubiana. Arrivato in Italia, venne internato a Valli del Pasubio. Dopo l’armistizio, la situazione precipitò. Un brigadiere avvertì gli internati del pericolo di arresti e li invitò a scappare. Gli ebrei ricevettero aiuto anche da un fascista che procurò loro i documenti falsi. Zlatko Gluck prese il nome di Aurelio Fortuna. Fuggì a Venezia, presso la so­rella di Mauro Scoccimar­ro, dirigente del Pci, dove rimase per circa dieci giorni, per poi tornare in Provincia di Vicenza. Qui gli venne in aiuto Luigi Bortoli di Malo, prendendolo a lavorare nei suoi campi a Monte di Malo. Quando tornava dal lavoro, i ricordi e la nostalgia lo assalivano e, passando su una collina che presentava una roccia con un’entrata, si nascondeva lì in solitudine per sfogarsi e piangere. Nel frattempo conobbe una ragazza, la sua fidanzata che ritrovò molti anni dopo in uno dei suoi viaggi compiuti per riabbracciare la gente di Monte di Malo.

La situazione volse al peggio. Zlatko conobbe un signore che gli procurò un biglietto per Milano. Sul treno Vicenza-Milano, c’erano molti soldati tedeschi. Lo videro, gli chiesero i documenti che risultarono regolari e gli rivolsero delle domande per capire se era davvero italiano, ma Zlatko si salvò rispondendo in dialetto: “Go da andare a Milàn a trovar me cugin”. A Milano, invece, lo attendeva il fratello di Scoccimarro che lo nascose nel suo studio, prima che la Delasem riuscisse ad organizzare il viaggio verso la Svizzera, dove si stabilì prima a Bellinzona e poi a Lugano. Dopo la guerra si trasferì in Israele, ad Haifa, dove è morto nel 1997.

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