ASPETTI GENERALI
RELATIVI AI CAMPI DI CONCENTRAMENTO PROVINCIALI
L’entrata in guerra dell’Italia e l’istituzione di campi di concentramento (1940-1943)
La storia della provincia di Vicenza durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale si intreccia inevitabilmente con gli avvenimenti nazionali e internazionali, anche per quel che concerne la creazione di campi di concentramento.
In particolar modo, l’internamento coatto nei comuni vicentini di un alto numero di ebrei tra la seconda metà del 1941 e l’8 settembre del 1943 e la creazione del campo di concentramento provinciale di Tonezza del Cimone (dicembre 1943) inseriscono la provincia di Vicenza in quel processo che ebbe i propri gangli vitali in Germania, ma che vide la partecipazione attiva ed autonoma del governo fascista italiano, prima attraverso la discriminazione e la persecuzione dei diritti, poi con la decisione di internare e deportare gli ebrei, decretando il terribile destino di milioni di vite sperse e annientate dalla macchina della morte nazifascista nel cuore dell’Europa moderna.
La provincia di Vicenza è legata alla Shoah proprio attraverso le storie di chi, raggiunta l’Italia nella speranza di poter trovare un rifugio dalla condanna senz’appello dichiarata dai fascismi agli ebrei, si rese conto che l’apparato discriminatorio e razzista dell’Italia sarebbe passato dalla persecuzione dei diritti alla persecuzione delle vite. Fu così che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, nell’Italia settentrionale furono creati nuovi campi di concentramento per internare quegli ebrei che finirono piombati sui treni diretti in Polonia. Tra quei campi, c’era la Colonia Umberto I di Tonezza del Cimone dove furono tenute prigioniere 45 persone dal destino segnato: 40 di loro, caricate sul convoglio n° 6 del 30 gennaio 1944, furono portate ad Auschwitz senza fare più ritorno.
Il processo va analizzato a fondo, richiamando le tappe fondamentali che portarono alla creazione del campo provinciale di Tonezza.
Dopo aver promosso una forte propaganda antisemita e aver approvato le leggi razziali del 1938, col passare del tempo e con l’avvicinarsi dell’ingresso dell’Italia in guerra, la politica di Benito Mussolini e del suo governo nei confronti degli ebrei si andò delineando con sempre maggiore chiarezza. Emblematico a questo proposito il telegramma del 26 maggio del 1940 che Guido Buffarini Guidi, sottosegretario di stato al Ministero dell’Interno, inviò al capo della polizia Arturo Bocchini. Si trattò di un primo essenziale passo verso un ulteriore restringimento dei diritti degli ebrei:
Il Duce desidera che si preparino dei campi di concentramento anche per gli ebrei, in caso di guerra. Ti prego di riferire direttamente [1]
In realtà, i problemi maggiori nacquero a seguito della conquista della Jugoslavia, aggredita con un attacco congiunto italo-tedesco il 6 aprile 1941. L’Italia occupò la striscia costiera croata, con alcune isole a sud-est di Fiume, la metà meridionale della Slovenia e gran parte della costa dalmata e delle isole di fronte ad essa. La situazione per il governo italiano si fece difficile, dovendo esso controllare imponenti flussi di ebrei in fuga dalle zone assoggettate al comando militare tedesco. Così, l’11 agosto 1941, con circolare telegrafica n° 60662/442, il Ministero dell’Interno invitò gli Ispettorati Generali di Pubblica Sicurezza ad attivarsi nella ricerca di luoghi da adibire a campi di concentramento per internati della Dalmazia.
L’8 settembre 1941 giunse la risposta della Prefettura di Vicenza, tramite una raccomandata urgente in cui venivano individuati dei luoghi idonei a tale scopo. Si trattava in particolare di stabili presenti nei Comuni di Dueville, Lugo e Lonigo.
Per il primo comune veniva indicata
la villa Perazzolo, costituita da un corpo centrale e due laterali; il primo è formato da un gran salone delle dimensioni di m. 13 x 18 con due camere a lato per parte, della grandezza di m. 5 x 6. – Ha un piano soprastante composto di quattro ambienti di m. 5 x 6 ciascuno. I due corpi laterali sono formati da due piani aventi complessivamente otto vani delle dimensioni di m. 6 x 6 ciascuno. Esistono acqua, luce e gabinetti di decenza e bagno. La cucina è unica e trovasi al pianoterra. – Ha una capienza di 200 persone. Trattasi, però, di una villa signorile, in buone condizioni, dichiarata monumento nazionale, essendo opera del Palladio.
Con la stessa precisione venivano individuati a Lonigo
due fabbricati, già adibiti ad uso industriale (lavorazione di bottoni il primo e dei bozzoli il secondo). L’ex bottonificio è costituito da tre cameroni, il primo di m. 43 x 8,80 capacità 80 persone, il secondo di m. 13,60 x 10,80, capacità 21 persone, il terzo di m. 13.80 x 8,75, capacità 24 persone. I cameroni sono coperti con mattoni sostenuti da copriate, tetto così detto a schiena d’asino. Sono forniti di luce e finestre verso opificio. Si trovano al primo piano. Nella corte a piano terra esistono due cessi ed acqua. Vi è anche una cucina. L’ex galletteria (lavorazione bozzoli), in parte anche ora adibita a tale uso, è costituita da due cameroni di m. 20 x 10 ciascuno e capace ognuno di 60 persone e da un terzo camerone a secondo piano di m. 10 x 10, capace di 18 persone. I cameroni sono forniti di luce. Al primo piano vi sono due cessi. L’acqua è al piano terra.
A Lugo Vicentino fu segnalata
la casa di proprietà di Lanaro, fabbricato isolato e composto del piano terra e primo piano. Al piano terra, con ingresso a parte, vi sono: una sala con tre finestre della grandezza di m. 6 x 8, una camera con due finestre della grandezza di m. 5,70 x 5,50; altra camera delle dimensioni di m. 4 x 5, un ambiente della grandezza di m. 4,50 x 2,70 e la cucina. Esiste pure altra sala delle dimensioni di m. 8 x 4,20 con ingresso proprio. Al primo piano, pure con accesso separato, vi è un corridoio lungo m. 15,70 che disimpegna 5 vani di ampiezza di m. 5 x 5. –Esiste pure altra cucina. Lo stabile è fornito d’acqua e luce ed è in buono stato. È circondato da un ampio appezzamento uso cortile, dove esistono due cessi, alquanto lontani dal fabbricato. La capienza è di 80 persone. [2]
Complessivamente venivano offerti 483 posti per l’internamento di ebrei. Nella realtà passò del tempo senza che gli stabili descritti fossero utilizzati, anche perché, dopo poco, non risultavano più disponibili dato che nella villa Perazzolo di Dueville si insediò la Società Generale di Assicurazioni per trasferirvi la sede di Milano, la casa di proprietà Lanaro di Lugo venne occupata dal proprietario e gli altri due stabili di Lonigo furono utilizzati per l’accantonamento di truppe.
Nel frattempo le necessità della guerra e l’internamento di centinaia di ebrei resero difficile il reperimento di luoghi adattabili a campi di concentramento. Il 19 febbraio del 1943, in risposta ad una nuova circolare del Ministero dell’Interno datata 22 gennaio, la Prefettura di Vicenza, pur dichiarando che “a causa di numerosi accantonamenti di truppe non vi sono attualmente disponibili stabili idonei ad essere utilizzati per campi di concentramento”, segnalava altri luoghi utili a Dueville e a Sandrigo. Nel primo caso veniva indicata, in frazione Povolaro, una casa di proprietà dei fratelli Marchioro con una capacità di una trentina di persone, mentre a Sandrigo si pensò di segnalare uno stanzone della ditta Antonio Pozzato, “attualmente adibito a fienile (…) un unico locale di m. 70 x 5, con 18 finestre, sprovviste però di infissi e di vetri” [3].
La Repubblica Sociale Italiana e l’ordine di polizia n° 5 del 30 novembre 1943
La svolta che vide la provincia di Vicenza tra le province italiane ad annoverare la presenza di un campo di concentramento si ebbe soltanto dopo l’armistizio e la nascita della Repubblica Sociale Italiana. In questo caso la destinazione d’uso fu decisamente diversa, dato che si trattava di internare gli ebrei con lo scopo preciso di deportarli in un secondo momento.
L’armistizio con gli Alleati, annunciato l’8 settembre 1943, ebbe per l’Italia gravi conseguenze politiche e militari e per gli ebrei stranieri presenti sul territorio fu il segno di un tragico cambiamento. A quella data, infatti, ben 10.000 ebrei stranieri si trovavano sotto l’occupazione tedesca, ossia quasi un quarto di tutti gli ebrei e delle persone di origine ebraica colpite dalla politica razziale che si trovavano in Italia. Per quanto riguarda in modo più specifico gli ebrei internati nei comuni, nella sola Italia settentrionale se ne contavano tra i 2500 e i 2600 al cospetto di una cifra oscillante tra i 1000 e i 1100 nell’Italia centrale.
Il repentino mutamento della situazione internazionale ebbe una ripercussione incommensurabile sugli ebrei internati in provincia di Vicenza, che, consci delle conseguenze della supremazia tedesca, non appena ne ebbero l’opportunità, tentarono la fuga.
In effetti, come in tutti i paesi occupati dalla Wermacht, anche in Italia venne creato un apparato di polizia che riceveva ordini direttamente dall’Ufficio centrale per la sicurezza del Reich. L’organo burocratico direttamente responsabile della politica antiebraica era l’Ufficio IV (AMT IV) del RSHA, diretto a Berlino dal Gruppenfuhrer Heinrich Muller. In questo Ufficio IV agivano vari sotto-uffici, fra i quali il B4 che si occupava della ricerca degli ebrei, della loro cattura e deportazione. Ne era capo Adolf Eichmann.
Per quanto riguarda l’Italia, a Karl Wolff, Comandante supremo delle SS e della polizia fu sottoposto, come Capo della Polizia di Sicurezza, Wilhelm Harster che si mosse subito dopo l’annuncio dell’armistizio, predisponendo una rete di Comandi Regionali (Kommandeure Sipo-SD), da cui dipendevano i Comandi Avanzati (Aussenkommandos), una sorta di commissariati, ai quali, a loro volta, rispondevano i Posti Avanzati (Aussenposten), ossia dei piccoli comandi periferici. Il Posto avanzato di Vicenza era direttamente sottoposto al Comando Regionale di Verona. [4]
Il 23 settembre del 1943 nasceva il nuovo governo fascista che, tra i suoi primi atti, emanò alcuni provvedimenti tesi all’inasprimento dell’azione antiebraica. Determinante fu la decisione, presa in piena autonomia, di inserire tra i 18 articoli del documento programmatico della “Carta di Verona” (14 novembre), il punto 7 in cui si diceva chiaramente che “gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri, durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”.
Due settimane più tardi, il 30 novembre, il Ministro degli Interni dispose – con l’ordinanza di polizia n. 5 – l’arresto e l’internamento degli ebrei, nonché il sequestro dei loro beni:
1) Tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengano, e comunque residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni mobili e immobili devono essere sottoposti a immediato sequestro in attesa di essere confiscati nell’interesse della RSI, la quale li destinerà a beneficio degli indigenti sinistrati dalle incursioni aeree nemiche.
2) Tutti coloro che, nati da matrimonio misto, ebbero, in applicazione del le leggi razziali vigenti, il riconoscimento di appartenenza alla razza ariana, debbono essere sottoposti a speciale vigilanza dagli organi di polizia.
3) Siano pertanto concentrati gli ebrei in campo di concentramento provinciale, in attesa di essere riuniti in campi di concentramento speciali appositamente attrezzati».[5]
A partire dal 1° dicembre 1943, dunque, ogni ebreo che si trovasse sul territorio della Repubblica Sociale poteva essere arrestato da parte delle autorità italiane per poi venire internato in campi di concentramento provinciali. Anche la provincia di Vicenza dovette rispondere all’ordine, cercando e preparando dei luoghi idonei a concentrare gli ebrei in attesa di ulteriori disposizioni sul loro destino.
La maggior parte dei campi presenti nell’Italia del Centro-nord ebbe una vita brevissima (al massimo dal dicembre del 1943 alla metà di agosto del 1944), dato che quasi tutti gli internati furono utilizzati per formare il convoglio partito da Milano il 30 gennaio 1944 alla volta di Auschwitz.
In Veneto si ha notizia di diversi campi di concentramento provinciali:
- per le province di Padova e Rovigo venne istituito un campo, a partire dal 3 dicembre, a Villa Contarini-Venier nel comune di Vò Vecchio in una casa estiva delle suore elisabettiane. Fu chiuso il 17 luglio successivo e i prigionieri furono trasferiti a San Sabba;
- in provincia di Venezia, gli ebrei furono sistemati nella locale Casa di Riposo Israelitica, dalla prima settimana di dicembre fino al 31 dicembre 1943;
- in provincia di Verona, in un edificio di via Pallone;
- in provincia di Vicenza, nella Colonia Umberto I di Tonezza, aperta dal 20 dicembre del 1943 al 30 gennaio del 1944, quando tutti gli ebrei furono deportati.
Di norma, le persone che venivano arrestate erano portate prima nelle camere di sicurezza delle questure per gli accertamenti di rito. In questura potevano rimanere anche qualche giorno se i campi provinciali non erano pronti.
Note
[1] ACS, MI, M4, b. 100. Il documento è riprodotto in R. Bonavita, G. Gabrieli, R. Ropa (a cura di), L’offesa della razza. Razzismo e antisemitismo dell’Italia fascista, Patron Editore, Bologna 2005, pag. 136.
[2] ACS, MI, M4, b. 149, Vicenza, ins. 73
[3] ACS, MI, M4, b. 111.
[4] Per avere un quadro completo delle strutture di occupazione tedesche in Italia si veda Picciotto Liliana, Il libro della Memoria, Milano, Mursia 2002 (seconda edizione), pagg. 858-866.
[5] MI, DGDR (Direzione Generale della Demografia e della Razza), affari relativi agli ebrei, b. 18. Si tratta del comunicato dell’Agenzia Stefani n°8 delle ore 23 del 30 novembre 1943.